Ergastolo a Bossetti e privazione della potestà genitoriale per l’uccisione di Yara. Unica prova il contestato Dna

Bossetti (Francesco Moro- Corsera)I giudici della corte d’Assise di Bergamo, presieduta da Antonella Bertoja, dopo 10 ore di camera di consiglio, hanno condannato Massimo Bossetti all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio, la tredicenneenne di Brembate di Sopra (Bergamo) scomparsa il 26 novembre 2010 e trovata morta tre mesi dopo.

Il 13 maggio scorso il pm Letizia Ruggeri aveva chiesto per l’imputato l’ergastolo e sei mesi di isolamento diurno.

Con la condanna all’ergastolo, i giudici della corte d’assise di Bergamo hanno anche tolto a Massimo Bossetti  anche la potestà genitoriale sui suoi tre figli, tuttora minori. Invece è stato assolto dall’accusa di calunnia “perché il fatto non sussiste” ai danni di un collega verso il quale, secondo l’accusa, avrebbe cercato di indirizzare le indagini. I giudici non hanno applicato l’isolamento diurno per sei mesi, unitamente all’ergastolo, come chiesto, invece, dal pm Letizia Ruggeri.

“Non è giusto”: questa la prima  reazione di Massimo Bossetti dopo la condanna all’ergastolo.

Siamo arrivati a metà strada nel senso che questa è una sentenza di primo grado, è stata un’inchiesta difficile. La prova del Dna è stata decisiva”,  ha detto il procuratore di Bergamo Massimo Meroni.

“Ora sappiamo chi è stato, anche se siamo consapevoli che Yara non ce la riporterà indietro nessuno”,  ha detto ai suoi legali la madre di Yara, Maura.

Gli avvocati di Bossetti ora attendono la motivazione della sentenza per promuovere appello, e comunque si dicono convinti che quell’esame del Dna, che ha portato all’accusa di omicidio a carico di Bossetti,  non rientra tra quelli che trovano accoglimento in Cassazione.

LA PERORAZIONE DELL’IMPUTATO

PRIMA DELLA SENTENZA

Massimo Bossetti, aveva iniziato con la voce rotta dall’emozione l’ultima, stamattina, l’ultima udienza del processo dopo le 45 svoltesi davanti ai giudici della Corte d’assise di Bergamo. “Sarò uno stupido, sarò un cretino, sarò un ignorantone ma non sono un assassino: questo deve essere chiaro a tutti. Quello che mi viene attribuito è vergognoso, molto vergognoso”.

E ripete che nel dibattimento “non c’è una sola certezza vera”. Perciò “ancora oggi vi supplico, vi imploro, datemi la possibilità di fare questa verifica, ripetete l’esame sul Dna, perché quel Dna trovato non è il mio. Se fossi l’assassino sarei un pazzo a dirvi di rifarlo”, argomenta con le sue dichiarazioni spontanee nella speranza di evitare un ergastolo con sei mesi di isolamento diurno, come chiesto dal pm Letizia Ruggeri.

In aula, ad ascoltarlo, c’erano anche la moglie, Marita Comi, e la sorella gemella, Laura Letizia. Bossetti non vedeva l’ora di parlare di sé ai giudici, “per dirvi come realmente sono, non la persona descritta in quest’aula”.

Poi, parlando in terza persone di sé: “E’ impossibile, molto difficile assolvere Massimo Bossetti, ma se mi condannerete sarà il più grave errore del secolo”, ha detto il muratore di Mapello.

Prima della perorazione di Bossetti c’è stata l’ultima schermaglia tra accusa e difesa: gli avvocati hanno depositato una memoria che ricostruisce la storia della traccia 31G20, che contiene il Dna che inchioderebbe Bossetti.

La Procura si è opposta, sottolineando la “singolarità del comportamento dei legali, dal momento che il dibattimento è concluso”. Ma la Corte ha egualmente ammesso la memoria. Ultimo atto di un processo durato un anno.

IL DELITTO, LE INDAGINI, L’ACCUSA

PIOMBATA SU MASSIMO BOSSETTI

Bossetti-GambirasioIl 26 novembre 2010, attorno alle 18,40 a Brembate Sopra, veniva rapita la tredicenne Yara Gambirasio, il cui cadavere venne ritrovato tre mesi più tardi in un campo di Chignolo d’Isola. La tredicenne stava tornando dalla palestra del paese, dove aveva riportato uno stereo per conto della sorella. Dopo aver inviato un ultimo sms a un’amica, quest’ultima le aveva risposto senza però ottenere più ulteriori comunicazioni. Alle 18.47 il suo telefonino viene agganciato dalla cella di Mapello, un comune distante circa tre chilometri da Brembate, poi la traccia scompare.Per il suo omicidio si trova in carcere il muratore di Mapello Massimo Bossetti: secondo la procura e gli esami scientifici il suo dna corrisponderebbe a quello trovato in sede di autopsia sugli indumenti di Yara e che, prima del suo arresto, era identificato come ‘Ignoto 1’.

5 dicembre 2010: il marocchino Mohamed Fikri, che lavora in un cantiere edile di Mapello è fermato a bordo di una nave diretta a Tangeri. Contro di lui alcuni indizi, tra i quali un’intercettazione ambientale in cui sembra affermi ‘Allah perdonami non l’ho uccisa’. Ma la traduzione era sbagliata. Mohamd Fikri si proclama innocente. Riesce a dimostrare che le sue vacanze in Marocco erano programmate da tempo e che non stava fuggendo. La sua posizione sarà archiviata perché l’immigrato risulterà del tutto estraneo alla vicenda.

12 dicembre 2010: La mamma di Yara parla per la prima volta e in un’intervista e dice di sentire ”un grande affetto attorno alla sua famiglia”.

8 gennaio 2011: Arriva una lettera anonima che annuncia che il corpo di Yara è nel cantiere di Mapello. La lettera non è tenuta in considerazione anche perché il cantiere era già stato più volte controllato e ispezionato. E’ solo una delle centinaia di segnalazioni che si riveleranno inutili in una vicenda costellata dalla presenza di mitomani e sensitivi.

15 gennaio 2011: il sindaco di Brembate Diego Locatelli invita i giornalisti ad allentare la morsa sul paese che deve tornare alla normalità.

26 febbraio 2011: Il corpo di Yara, a tre mesi esatti dalla scomparsa, è ritrovato in una campo a Chignolo d’Isola, ad una decina di chilometri da Brembate (Bergamo). Le indagini appureranno che è stata uccisa sul posto, colpita da alcune coltellate e morta anche per il freddo.

28 maggio 2011: E’ il giorno dell’addio a Yara. In migliaia di ritrovano al palazzetto dello Sport per assistere ai suoi funerali. Viene letto anche un messaggio del Presidente della Repubblica.

15 giugno 2011: gli investigatori isolano una traccia di dna maschile sugli slip della ragazza che, a differenza degli altri tre già esaminati, non sarebbe suscettibile di contaminazione casuale. Sarebbe il dna dell’assassino. Un profilo genetico che non è tra i 2.500 raccolti in quei mesi dagli investigatori.

18 settembre 2012. Nasce la cosiddetta ‘pista di Gorno’: è estratto da una marca da bollo su una vecchia patente il Dna di Giuseppe Guerinoni, un uomo di Giorno, sposato e padre di due figli, morto a 61 anni nel 1999 simile a quello trovato sul corpo di Yara. Un Dna che, comparato con il nucleo famigliare dell’uomo, non porta ad alcun risultato; da qui l’ipotesi degli investigatori che esista un suo figlio illegittimo.

7 marzo 2013 – E’ riesumata la salma di Giuseppe Guerinoni, il bergamasco di Gorno morto nel 1999 e che, secondo gli inquirenti, sarebbe il padre biologico dell’assassino. La salma verrà sottoposta a tutti gli accertamenti del caso, come disposto dalla Procura.

10 aprile 2014 – La consulenza dell’anatomopatologa Cattaneo fuga i dubbi, peraltro sollevati dalla famiglia di Yara, sulla corrispondenza del Dna con quello di Giuseppe Guerinoni. L’assassino di Yara è un possibile figlio illegittimo dell’uomo morto nel 1999 (!). Di recente, senza alcun risultato, quel Dna era stato comparato con quello di donne che frequentavano Salice Terme, nel Pavese. Una località climatica che l’autista aveva frequentato negli anni in cui avrebbe potuto avere un figlio illegittimo.

16 giugno 2014 – E’ arrestato Massimo Giuseppe Bossetti, all’epoca 43 anni, muratore di Mapello, sposato e padre di tre figli. Due giorni prima gli era stato prelevato il Dna con il trucco di un falso controllo dell’etilometro. Il suo Dna era risultato coincidere con quello di Ignoto 1. A lui gli investigatori erano giunti attraverso la madre, Ester Arzuffi, che, secondo l’accusa, aveva avuto una relazione con Guerinoni.

27 aprile 2015 – Bossetti è rinviato a giudizio davanti ai giudici della Corte d’assise di Bergamo. E’ accusato di omicidio ma anche di calunnia ai danni di un suo collega di lavoro verso il quale avrebbe cercato di indirizzare le indagini. 3 luglio – Comincia il processo: la difesa dell’imputato chiede 700 testimoni che saranno poi sfoltiti dalla Corte

11 marzo 2016 – Bossetti si sottopone all’esame del pm, si proclama innocente e dice di aver pensato che Yara Gambirasio “era stata uccisa per mettermi nei guai”. 22 aprile – La Corte non concede ulteriori accertamenti sul Dna e altre prove chieste dalla difesa. Per i giudici non sono superflui al fine della decisione. 13 maggio – Il pm Letizia Ruggeri chiede per Bossetti l’ergastolo e sei mesi di isolamento diurno.

20 maggio – Parlano le parti civili che chiedono a Bossetti un risarcimento pari a tre milioni e 249 mila 230 euro.

17 giugno – intervengono i difensori di Bossetti per chiederne l’assoluzione: “Questo imputato in diritto sarebbe già assolto” ma entrano in gioco “altre questioni: una bambina che non c’e’ più, anni di indagini e qualcuno vorrebbe utilizzare questo processo per propaganda forcaiola.

Commenta per primo

Lascia un commento