DOMENICO MACERI/ Elezioni americane. I repubblicani alle prese con la misoginia sfrenata di Trump

Domenico Maceridi DOMENICO MACERI*/

«Lei ha etichettato le donne come grasse scrofe, cagne  e sciatte». Questa in poche parole la premessa della domanda di Megyn Kelly della Fox News a

Donald Trump nel recente dibattito sulle primarie repubblicane. Con la sua immediata battuta,  prima che Kelly completasse la domanda, Trump ha cercato di rifugiarsi nell’umorismo dicendo  che quella definizione si applica «solo a Rosie O’Donnell», l’attrice comica con cui il candidato aveva avuto non pochi dissapori. All’indomani però Trump ha contrattaccato accusando Kelly di non essere affatto brava, spiegando che la sua domanda aveva le radici nel ciclo mestruale, perché le usciva «sangue dagli occhi e dappertutto».

Lo stile di Trump è ben noto. L’idea di chiedere scusa non fa

parte del suo vocabolario. Quando non gli piace qualcosa o qualcuno, va subito al contrattacco con assalti ad personam.  Lo fa con tutti coloro che abbiano la temerità di non essere “gentili” con lui. Le asserzioni di Trump dovrebbero causargli problemi con le elettrici, ma in realtà l¹imprenditore immobiliare rappresenta solo la punta dell’iceberg per quanto riguarda il Partito Repubblicano e il difficilerapporto con le donne.

In parte ciò si intravvede dalle blande reazioni degli altri sedici candidati agli attacchi misogini di Trump.  Chris Christie, governatore del New Jersey, ha reagito dicendo che gli piace Trump. Ted Cruz, senatore del Texas, si è limitato a dire che bisogna trattare “tutti con rispetto”. Bobby Jindal, governatore dell¹Alabama, è stato un po’ più severo ma indirettamente, dicendo che «la lingua volgare è tipica dei vigliacchi».

La più dura verso Trump è stata Carly Fiorina, l’ex Ceo di Hewlett-Packard, l’unica  donna candidata alle primarie repubblicane, la quale, riferenosi direttamente a Trump, ha annunciato in  un tweet che «non ci sono scuse».

La mancata difesa di Kelly da parte dei candidati repubblicani include per estensione anche quella di tutte le donne. Si tratta di un atteggiamento rispecchiato in linee generali nella politica del Gop. Persino Fiorina, la quale ha confessato che nella sua carriera ha dovuto anche lei soffrire la discriminazione in quanto donna, è contraria al congedo di maternità pagato. Fiorina suggerisce che, nonostante i problemi delle donne, è possibile farcela. Si offre come esempio classico di questo successo senza però riconoscere la frattura politica del suo partito con le donne.

Gli esiti politici però ci confermano chiaramente che la maggioranza delle donne si mantiene lontana dal Partito Repubblicano. Nelle elezioni presidenziali del 2008 il 57% delle donne ha votato per i democratici, i quali hanno conquistato non solo la Casa Bianca con Barack Obama ma anche la Camera ed il Senato. Nel 2012 le cifre sono state simili. Il il 55% del voto femminile è andato ad Obama e il 44% a Mitt Romney. Per quanto riguarda le donne single, Obama ha sconfitto Romney con un margine del 36 per cento.

C¹è da ricordare anche che l’elettorato americano è composto dal 54% di  donne.  Inoltre le donne tendono a votare più assiduamente degli uomini. Nel 2008 e 2012 il 66%  delle donne ha votato mentre solo il 61% degli uomini lo ha fatto. Difficile vincere elezioni, dunque, alienandosi le simpatie delle donne.

I candidati repubblicani attuali sembrano non avere notato che hanno un problema molto serio con il voto femminile. I diciassette candidati al momento si concentrano sulla scelta di mantenersi a galla, anche se alcuni dovrebbero presto abbandonare la corsa perché non hanno conquistato un forte seguito e sono a corto di fondi.  Ma altri che guardano all¹elezione generale già si preoccupano.

Sabrina Schaeffer, direttrice di Independent Women¹s Forum, un gruppo conservatore, ha iniziato una conversazione sul modo in cui i candidati del Gop potranno ridurre il deficit del voto femminile mediante argomenti di parità salariale e strutture di lavoro più flessibili.

Uno dei pochi candidati repubblicani ad avere riconosciuto i danni che Trump sta facendo nei rapporti del loro partito con le donne è stato Jeb Bush. Senza attaccare Trump direttamente per il suo linguaggio misogino, l’ex governatore della Florida ha domandato retoricamente se il Gop «vuole vincere. Ma come si vince insultando il 53 percento degli elettori?»

Hillary Clinton, anche lei mirando alle elezioni generali, è andata oltre, sostenendo che «ciò che Trump ha detto su Megyn Kelly è vergognoso, ma che anche il resto dei repubblicani dice cose vergognose sulle donne. Si vantano di voler decurtare i fondi per la sanità e dicono che proibirebbero l’aborto alle donne stuprate», ha tuonato l’ex first lady. Per cogliere appieno la situazione bisogna andare oltre Trump, lo showman sul palco del dibattito, ha concluso la Clinton.

Forse. Ma per lei la possibilità che Trump vada fino in fondo com candidato alle elezioni generali potrebbe rivelarsi la carta vincente. Trump spaccherebbe il Gop e le permetterebbe facilmente di rientrare alla Casa Bianca con il marito Bill da first gentleman.

*Domenico Maceri

Docente di lingue a Allan Hancock College, Santa Maria, California (dmaceri@gmail.com).

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