DOMENICO MACERI/ Bernie Sanders, antagonista di Hillary con effetto salutare sulla politica Usa

Domenico Maceridi Domenico Maceri*/

“Aumenterebbe l’aliquota al novanta per cento?” Ecco che cosa voleva sapere un elettore da Bernie Sanders in un incontro nello Stato del New Hampshire. Il novanta percento di tasse si riferiva ovviamente alla situazione fiscale durante la presidenza di Dwight D. Eisenhower fra il 1953 e il 1961. Eisenhower era repubblicano, ma in questi giorni sarebbe irriconoscibile nel clima politico del Gop.
Sanders, il senatore del Vermont, etichettato da alcuni come socialista, ha risposto affermativamente. Non è la prima volta che sostiene che le tasse ai ricchi sono troppo basse anche rispetto al passato. Ma non si tratta solo di aspirazione all’equità fiscale, che fa guadagnare a Sanders l’epiteto di socialista. Il nuovissimo rivale di Hillary Clinton per la nomination democratica ha una lunga storia di attivismo politico di sinistra.
  Il settantatreenne senatore è nato a Brooklyn nel 1941 da una famiglia di immigrati ebrei. Dopo essersi laureato in scienze politiche alla University of Chicago si è trasferito  nel Vermont facendo una varietà di lavori fra i quali il muratore, il filmmaker e lo scrittore. Si è poi dedicato alla politica divenendo sindaco di Burlington, una cittadina di quarantamila abitanti sita a quarantacinque miglia dal confine con il Canada. Vinse le elezioni con uno scarto di soli dieci voti. È stato per un breve periodo anche professore di Scienze politiche alla Harvard University  e nel 2006 è stato eletto al Senato. Una volta che Elizabeth Warren ha deciso di non sfidare Hillary Clinton per la nomination,  Sanders ha deciso di colmare il vuoto a sinistra nel Partito Democratico.
Nessuno gli dà chance per la nomination né tantomeno ipotizza che possa risiedere alla Casa Bianca. La sua piattaforma, annunciata in parte durante  tutta la sua carriera e sottolineata già nei pochissimi giorni della sua campagna presidenziale, è vista da tutti gli analisti come troppo estremista. Ciononostante le idee di Sanders riflettono in larga misura una buona fetta del Partito Democratico. Sanders insiste sulla disuguaglianza economica ed il crescente divario fra i ricchi e poveri credendo che il Paese stia diventando un’oligarchia. In parte lo dimostra lo tsunami di soldi nella politica e la decisione della Corte Suprema Citizens United che ha tolto quei pochissimi freni esistenti ai contributi politici. Ecco come si spiega il fatto che Hillary Clinton ha in programma di raccogliere due miliardi e mezzo di dollari per affrontare il suo eventuale candidato repubblicano, che riceverà contributi di simile entità dai grossi contribuenti di destra.
Sanders ha l’ambizioso programma di offrire la scuola gratis a tutti fino all’università, l’aumento del salario minimo da 7,25 a 15 dollari l’ora, investire mille miliardi di dollari per migliorare le infrastrutture e creare 13 milioni di posti di lavoro.   Vuole anche la copertura sanitaria per tutti mediante un ampliamento del Medicare, la sanità attuale degli anziani. Le grosse istituzioni finanziarie, considerate troppo importanti per fallire ed affondare l’intera economia, seco do Sander dovranno essere divise. Naturalmente lo preoccupa anche il riscaldamento globale e vuole investire sulle energie rinnovabili. In politica estera insiste sulla lotta contro il terrorismo, ma la vede come una sfida non solo per gli Stati Uniti. Come ha spesso detto, Sanders vuole “scandinavizzare” l’America, avvicinando il sistema politico ed economico a quello dei Paesi “socialisti” dell’Europa e del Canada.
I sondaggi al momento gli danno il 15 percento dei consensi democratici per la nomination. Con ogni probabilità beneficia dell’assenza di Elizabeth Warren nella competizione. Il suo effetto sulla campagna di Hillary Clinton è difficile da prevedere. Da una parte l’ex first lady ed ex segretario di Stato apparirà moderata nel confronto contrasto con lui. Diventerà persino più “giovane” in confronto al settantenne Sanders. La Clinton però sarà costretta ad affrontare temi che forse lei non vorrebbe toccare. Ed è proprio qui che Sanders, anche se non vincerà la nomination, darà il suo contributo più importante. Il senatore del Vermont costringerà non solo la sua avversaria a parlare di temi poco appetibili ma farà esattamente la stessa cosa con gli elettori. A cominciare dai termini come socialista e liberal che i repubblicani sono riusciti a demonizzare. Sanders, a differenza di altri candidati democratici, non ha paura di questi termini vedendoli in modo positivo.
 L’altro probabile grande contributo della candidatura di Sanders sarà di spingere il dialogo politico verso argomenti seri invece delle banalità che spesso dominano le campagne politiche. Inoltre, è molto opportuna la sua promessa di non interpretare le idee di Hillary Clinton  ma di concentrarsi sulla sua visione ed offrirla agli elettori che dovranno giudicare. In sintesi, Sanders potrebbe colorare non solo la sua campagna politica ma indurre anche quella dei suoi avversari democratici ed eventualmente repubblicani ad allontanarsi dagli attacchi ad hominem che disgustano gli elettori e spesso li tengono lontani dalle urne.
Insomma, anche se Sanders non vincerà la nomination, la sua presenza avrà un effetto salutare non solo per il Partito Democratico ma per tutto il Paese. In questo senso non sarà solo lui il vincitore. Tutti noi lo saremo.

* Domenico Maceri è docente di lingue

all’Allan Hancock College, Santa Maria, California (dmaceri@gmail.com

Commenta per primo

Lascia un commento