Crescita del Pil tra le previsioni di Tria, le noci della Campania e quel piano di Di Vittorio

di SERGIO SIMEONE *-

In questi giorni i giornali sono pieni di numeri che si riferiscono alle misure contenute nel DEF approvato dal Governo. In realtà uno è il più importante di tutti,  è l’1,5%, l’aumento del Pil previsto per l’anno 2019. E’ l’architrave di tutta la manovra.  Ragionando solo in termini macro-economci  (senza entrare, cioè, nel merito delle singole misure) se l’1,5% si realizza la manovra regge, se non si realizza crolla come un castello di carte.

Ma come realizzare questo obiettivo? A quanto pare, una buona parte della speranza è riposta nella nota regola keynesiana “l’aumento della domanda stimola l’aumento dell’offerta”. Anche Marco Travaglio nell’articolo riportato su questo giornale manifestava un simile auspicio. Ma questa rischia di rivelarsi una pia illusione. Occorre tener presente, infatti, che non siamo più ai tempi delle economie nazionali strutturate come sistemi autosufficienti che producevano quasi tutti i beni che i consumatori richiedevano. Viviamo nei tempi della globalizzazione e molto spesso entrano  in Italia anche beni di cui siamo buoni produttori. Per fare un piccolo esempio, io che abito in Campania, la regione italiana maggiore produttrice di noci (e di ottima qualità, come la famosa noce di Sorrento) quando entro in un supermercato trovo gli scaffali pieni di noci californiane  a prezzi assolutamente competitivi. Un aumento della domanda in Italia può produrre sviluppo in Corea, in Finlandia o in Cina.

Bisogna però dire che il ministro Tria ha dichiarato di contare anche su un aumento di pubblici investimenti pari a 15 miliardi in un triennio. E questo è positivo. Ma stranamente, mentre di flat tax e di diritto di cittadinanza si sa tutto, di questi investimenti, di come saranno indirizzati, non si sa niente. Eppure, ripeto, è la cosa più importante. È l’argomento che, ben documentato, potrebbe forse convincere la Commissione europea che quel 2,4% di deficit non è puro avventurismo.

Se andiamo a leggere la contro-manovra del Pd, anche qui si parla di investimenti, ma anche qui  si è molto vaghi nel delinearne i caratteri.  Eppure nella storia della sinistra italiana, in tema di investimenti, c’è una memorabile proposta  di stampo keynesiano: il piano del lavoro presentato dallo storico segretario della Cgil Giuseppe Di Vittorio al congresso nazionale di Genova nel 1949. In questo piano, di fronte ad un Paese distrutto dalla guerra  e ad una devastante disoccupazione, il sindacalista pugliese proponeva un piano di investimenti articolato in tre punti: costruire centrali elettriche soprattutto nel sud, bonificare e rendere coltivabili milioni di ettari, soprattutto nel sud, realizzare un vasto programma di edilizia per costruire case popolari, ospedali, scuole.

Certo le esigenze di oggi sono diverse: non costruire centrali elettriche, ma creare “centrali” di energia verde, creare moderne infrastrutture, mettere in sicurezza il territorio per arrestare il dissesto idrogeologico che genera il verificarsi di qualsiasi evento naturale negativo (terremoti o forti precipitazioni) con ingenti danni materiali e vittime. Ma l’ispirazione di fondo è più che mai attuale: creare lavoro (non assistenza) ed ammodernare il Paese per  renderlo più conveniente a chi volesse investire i suoi capitali.

*Sergio Simeone, docente di storia e filosofia in pensione, è stato sindacalista della Cgil-Scuola

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