Bruciata un’auto davanti alla casa famiglia dell’associazione Capitano Ultimo. Avvertimento mafioso?

I resti dell’automobile, un’Audi risultata rubata, incendiata in via della Tenuta della Mistica a  Roma davanti alla falconeria del colonnello Sergio De Caprio, il capitano Ultimo, che catturò il boss Totò Riina. (foto Ansa di Vincenzo Sinapi

Dell’automobile, un’Audi, non c’è rimasto niente. Solo la carcassa carbonizzata. Qualcuno l’ha rubata e poi, verso mezzanotte, le ha dato fuoco. Ma non in un posto qualunque: lo ha fatto davanti alla casa famiglia fondata dal colonnello dei Carabinieri Sergio De Caprio, il Capitano Ultimo che arrestò Totò Riina.

Le indagini sono in corso, ma nessuno crede si sia trattato di un fatto casuale: l’incendio è divampato in via della Tenuta della Mistica, una stradina isolata circondata dal nulla all’estrema periferia orientale di Roma. Una strada che conduce proprio alla casa famiglia gestita dall’associazione Volontari Capitano Ultimo e all’annessa falconeria. Ed è proprio davanti al cancello dell’allevamento di rapaci (una decina, un vecchio pallino dell’ufficiale) che è stata bruciata l’automobile. “Nessuno va lì per caso”, dice un investigatore.

Dunque un avvertimento? De Caprio, da quel 15 gennaio di 25 anni fa, quando mise le manette al “boss dei boss”, è finito nel mirino di Cosa Nostra ed è un uomo senza volto. Sono state numerose e ripetute le minacce nei suoi confronti. Nel 1993, pochi mesi dopo l’arresto di Riina, il pentito Salvatore Cangemi riferì di aver partecipato a un vertice di mafia nel quale Bernardo Provenzano parlò di un piano per catturare o uccidere De Caprio, mentre nel 2001, in udienza pubblica, il pentito Gioacchino La Barbera disse che il killer Leoluca Bagarella aveva offerto un miliardo di lire a un informatore per sapere dove alloggiava Ultimo.

Poi però gli anni sono passati, De Caprio ha smesso di occuparsi di mafia e l’Ucis, l’ufficio centrale interforze che si occupa di assegnare le scorte alle personalità a rischio, ha deciso di revocargli il servizio di tutela (un’auto non blindata e un carabiniere) per “mancanza di segnali di concreto pericolo”. Cosa che – quando si dice il destino – è avvenuta proprio il 3 settembre scorso, anniversario dell’uccisione del generale Dalla Chiesa, forse il principale punto di riferimento di Ultimo. E così torna la domanda: è stato un avvertimento? De Caprio, interpellato dall’ANSA, glissa. Ma a modo suo: “Questo sicuramente lo valuteranno il prefetto di Roma Paola Basilone e gli esperti dell’Ucis che sanno leggere molto bene i segnali concreti di pericolo. Noi, invece, leggiamo chiaramente in quello che è successo un segnale di assenza di sicurezza per i cittadini”.

Non è un mistero che Ultimo non abbia gradito la revoca della scorta (era già successo per pochi mesi, tra il 2009 e il 2010, poi gli è stata riassegnata) e i suoi sostenitori hanno anche lanciato una campagna di “sensibilizzazione” sul web: migliaia le firme raccolte, ma l’appello non ha cambiato le cose. Adesso è probabile che il fatto della scorsa notte venga valutato dai responsabili dei servizi di protezione, ma le indagini sono ancora all’inizio e gli indizi sono pochi. A dare l’allarme è stato il personale che gestisce la casa famiglia (De Caprio abita altrove), che attualmente ospita nove minorenni in condizioni familiari precarie. Sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco, che hanno spento le fiamme, e i carabinieri. (servizio Ansa)

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