ANALISI/ L’ultimo articolo di Alfredo Reichlin: “Non lasciamo la sinistra sotto le macerie”

 

di ALFREDO REICHLIN* – Sono afflitto da mesi da una malattia che mi rende faticoso perfino scri­vere queste righe. Mi sento di dover dire che è necessario un vero e pro­prio cambio di passo per la sinistra e per l’intero campo democra­tico. Se non lo faremo non saremo credibili nell’indicare una strada nuova al paese.

Non ci sono più rendite di posizione da sfruttare in una politica così screditata la quale si rivela impotente quando deve affrontare non i gio­chi di potere ma la cruda realtà delle ingiustizie sociali, quando deve ga­rantire diritti, quando deve vigilare sul mercato affinché non preval­ga la legge del più forte. Stiamo spazzando via una intera generazione.

Sono quindi arrivato alla conclusione che è arrivato il momento di ripensare gli equilibri fondamentali del paese, la sua architettura dopo l’unità, quando l’Italia non era una nazione. Fare in sostanza ciò che bene o male fece la destra storica e fece l’antifascismo con le grandi riforme come quella agraria o lo statuto dei lavoratori. Dedicammo me­tà della nostra vita al Mezzogiorno. Non bastarono le cosiddette ri­for­me economiche. È l’Italia nel mondo con tutta la sua civiltà che va ri­pen­sata. Noi non facemmo questo al Lingotto. Con un magnifico di­scorso ci allineammo al liberismo allora imperante senza prevedere la grande crisi catastrofica mondiale cominciata solo qualche mese dopo.

Anch’io avverto il rischio di Weimar. Ma non do la colpa alla legge elettorale, né cerco la soluzione nell’ennesima ingegneria istituzionale: è ora di liberarsi dalle gabbie ideologiche della cosiddetta seconda Re­pub­blica. Crisi sociale e crisi democratica si alimentano a vicenda e sono le fratture profonde nella società italiana a delegittimare le istitu­zio­ni rappresentative. Per spezzare questa spirale perversa occorre ge­nerare un nuovo equilibrio tra costituzione e popolo, tra etica ed eco­nomia, tra capacità diffuse e competitività del sistema.

Non sarà una logica oligarchica a salvare l’Italia. È il popolo che di­rà la parola decisiva. Questa è la riforma delle riforme che Renzi non sa fare. La sinistra rischia di restare sotto le macerie. Non possiamo con­sentirlo. Non si tratta di un interesse di parte ma della tenuta del si­ste­ma democratico e della possibilità che questo resti aperto, agibile dal­le nuove generazioni. Quando parlai del Pd come di un «Partito del­la nazione» intendevo proprio questo, ma le mie parole sono state pie­ga­te nel loro contrario: il «Partito della nazione» è diventato uno stru­mento per l’occupazione del potere, un ombrello per trasformismi di ogni genere. Derubato del significato di ciò che dicevo, ho preferito tacere.

Tuttavia oggi mi pare ancora più evidente il nesso tra la ricostru­zio­ne di un’idea di comunità e di paese e la costruzione di una soggettività politica in grado di accogliere, di organizzare la partecipazione popo­la­re e insieme di dialogare, di comporre alleanze, di lottare per obiettivi concreti e ideali, rafforzando il patto costituzionale, quello cioè di una Repubblica fondata sul lavoro. Sono convinto che questi sentimenti, questa cultura siano ancora vivi nel popolo del centrosinistra e mi pare che questi sentimenti non sono negati dal percorso nuovo avviato da chi ha invece deciso di uscire dal Pd. Costoro devono difendere le loro ragioni che sono grandi (la giustizia sociale) ma devono farlo con un intento ricostruttivo e in uno spirito inclusivo. Solo a questa condizione i miei vecchi compagni hanno come sempre la mia solidarietà.

*Questo articolo è stato scritto per “l’Unità” dallo storico dirigente del Pci e due volte direttore dell’Unità, Alfredo Reichlin, 7 giorni prima della morte, che lo ha colto all’età di 92 anni il 20 marzo scorso.

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