di GIOVANNI PEREZ – Ampio spazio è stato dedicato nei giorni scorsi agli arresti eseguiti in provincia di Crotone nell’ambito di una inchiesta sull’accoglienza ai migranti gestita da un sistema mafioso della ’ndrangheta. Molta la meraviglia di alcuni commentatori, molta ma ingiustificata, almeno agli occhi di chi, come me, ha avuto una sia pur breve esperienza professionale da quelle parti. Circa vent’anni fa mi venne chiesto da un quotidiano calabrese agli esordi di andare a fondare e dirigere l’edizione di Crotone. Ascoltando la gente avevo saputo che a Capo Colonna, come a Capo Rizzuto ed in altre località del crotonese, erano in molti a dover pagare il “pizzo”. E un milanese, che gestiva un villaggio turistico a Capo Rizzuto, mi aveva raccontato, pregandomi di dimenticare il suo nome, che ogni anno quando iniziava la stagione estiva, si presentavano un paio di individui: con fare non certo amichevole gli intimavano “come personale devi assumere tizio e caio, il pane la andrai a comperare nel tal negozio, la carne dal tal macellaio, ecc.” Se non avesse accettato le condizioni che gli imponevano, il villaggio avrebbe rischiato di andare “accidentalmente” a fuoco. Più o meno qualcosa di simile me l’avevano ripetuta in altre località turistiche del crotonese, dove erano note a tutti, tranne a chi doveva vigilare, non so se per quieto vivere o per altri motivi. Concludendo, io stesso ero stato oggetto di intimidazioni e mi era stato dato un “consiglio” del tipo: “è ora che se ne vada”, consiglio che avevo seguito, ma sol perché si era concluso il periodo convenuto con l’editore per portare a compimento il mio incarico.
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